Leggendari presepi e silenziose cappelle: è Palazzo Caleno, simbolo del "vecchio" Picone
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martedì 28 maggio 2019
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di Salvatore Schirone - foto Valentina Rosati
Per visitare la struttura basta portarsi su via Lucera, perpendicolare di viale Salandra: una strada percorribile solo a piedi per via della presenza di una ripida scalinata. Non a caso quest'area della città viene chiamata la Mendàgne (“la Montagna”), perché situata su una sorta di “collinetta” creatasi a causa della tombatura di Lama Picone, il più grande dei nove ex antichi fiumi di Bari che passava proprio da questo punto.
Una volta saliti ci si ritrova così in un piccolo quadrilatero segnato da sei strettissime vie sulle quali si affacciano ancora una manciata di palazzine di inizio secolo: basse costruzioni dai toni confettati del rosa, dell'azzurro e del giallo. Un angolo di Bari che dall’alto della sua “vetta” continua a resistere ai grandi cambiamenti urbanistici del quartiere.
E qui, nell’isolato compreso tra le vie Lucera, Bengasi e Lecce, si erge il simbolo della zona: Palazzo Caleno. Un possente fabbricato color salmone che comprende terrazzine, loggiati racchiusi da archi, false balaustre, una torretta, un campanile e una cappella. Un insieme non ben definito di elementi architettonici che farebbe pensare alla modificazione di un edificio preesistente, magari un più antico casale.
Di certo sappiamo che a rendere noto questo palazzo fu il ricco possidente “barivecchiano” Cesare Caleno, che dalla fine dell’800 ne fece la sua residenza estiva, arricchendolo nel corso degli anni di un enorme e leggendario presepe.
Sul portale della chiesetta, il cui ingresso si affaccia su via Lecce, si legge infatti un’epigrafe posta in corrispondenza dell’architrave barocco. È datata 6 novembre 1887 e recita in latino: Invenietis infantem pannis involutum, et positum in praesepio” (“Troverete un bambino avvolto in fasce, posto in un presepio”).
Si parla dunque del presepe: un’installazione che comprendeva 472 statue, alcune delle quali realizzate nel 700 da botteghe napoletane. Le figure erano inserite in una complessa scenografia fatta di grotte, balze e rupi, che si muoveva in virtù di un apposito congegno. Un “teatrino” famoso in tutta la città, la cui visita durante i giorni di Natale rappresentò per diversi anni un immancabile appuntamento per i baresi.
Ma dopo la morte di Cesare e il successivo abbandono dell’edificio, questa piccola meraviglia passò anni bui, tanto che nel 1958 i tre eredi Mariangela, Federico e Antonio decisero di donare le pregiate piccole sculture alla Pinacoteca di Bari.
Oggi nel museo sono visibili 85 di quegli antichi pezzi: il resto, per ragioni di spazio, è tristemente “conservato” negli scantinati del Palazzo della Provincia. In un’apposita teca in vetro sono esposte statuette di bellissimi pastori vestiti di abiti di seta, lana e canapa, svariati animali e oggettini fatti di terracotta policroma. È stata inoltre ricomposta la scena centrale della Natività grazie al ritrovamento quasi fortuito del bambinello che si dava per perduto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’installazione a inizio secolo era alloggiata in un’intera ala del piano terra del Caleno, occupando anche parte della cappella. Questa chiesetta, aperta ogni giorno dalle 9 alle 16, è frequentata oggi da anziane del quartiere, che qui vengono a pregare in silenzio. Quando entriamo una di loro ci dedica giusto qualche parola. «Ci diamo il cambio ogni ora per tenere compagnia a Gesù – ci dice -. Così facendo assicuriamo che ci sia sempre qualcuno qui».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’interno, che presenta un pavimento a “chianche”, è ben curato. Le pareti, ornate da lesene di un rosso vivo, reggono una graziosa volte a botte abbellita da archi decorativi azzurri. Sopra l’altare a muro, su cui è esposto il Sacramento, si erge il quadro di San Francesco da Paola. Una tenda copre poi l’ingresso di un piccolo ripostiglio, che un tempo fungeva da passaggio interno al palazzo, oggi murato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Il tempietto ha sempre avuto una grande importanza per questo rione – afferma il 65enne Michele Veltri, vice parroco della vicina San Francesco –. Fu qui infatti che noi frati celebrammo le prime messe, quando nel 1942 giungemmo a Picone. Cesare Caleno in persona ci concesse di farne uso. La utilizzammo fino al 1965, anno in cui venne costruita l’attuale chiesa di quartiere in viale Ennio».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La cappella e l’interno Palazzo sono stati completamente restaurati nel 2010 dall’impresa edile “Coeni”, attuale proprietaria dell’immobile, il cui piano terra è stato concesso in affitto a una società d’informatica. Attraverso un cancello situato in via Lucera, accediamo dunque nel resto del fabbricato, ritrovandoci in un ampio e grazioso cortile che ci conduce al suo interno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Anche qua è ancora presente l’originario pavimento a chianche bianche, mentre le caratteristiche volte a botte sono state intonacate per accogliere le postazioni di lavoro. Una scala inserita nella torretta ci permette poi di salire al piano superiore (attualmente non utilizzato), per passare sul terrazzo, fino ad arrivare ai piedi del campanile a vela.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E qui ci fermiamo ad osservare la piccola campana costruita ad Agnone, paese molisano famoso per la realizzazione di questi manufatti. Oggi un congegno elettronico permette di farla suonare alle ore prestabilite, ma un tempo ad azionarla era la mano dell’uomo. Chissà, forse proprio quella di Cesare Caleno, che con un semplice gesto ogni Natale invitava i baresi ad entrare nel mondo magico del suo presepe.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
Scritto da
Salvatore Schirone
Salvatore Schirone
Foto di
Valentina Rosati
Valentina Rosati
I commenti
- Bianca Delapierre - Egregio professore, sono la mamma di un vostro alunno e desidero farle i complimenti per il suo articolo appena letto e ascoltato con grande interesse e curiosità anche da mia madre che è una fedelissima di quella piccola cappella. Lo era anche il mio papà caro. Per molti anni si è occupato dell'apertura mattutina e delle cure necessarie per la buona conservazione di questo luogo e dei suoi addobbi sacri, custode e ora Angelo della cappellina. Lui è ancora lì sulla soglia che aspetta mamma all'uscita della funzione mattutina, lui è lì ad aspettarla dopo pranzo, se le sue povere gambe e la sua schiena ricurva glielo consentono. Le dico grazie di cuore per questo bellissimo articolo che rende per ogni suo aspetto, sacro il luogo. E le dirò di più: farò una copia del suo articolo e l'affiggeró, affinché possa essere conosciuta la storia di questo bellissimo palazzo e magari una traduzione in inglese per i turisti che entrano per un momento di preghiera. Ma di questa mia personale iniziativa, le chiedo il consenso.
- BARINEDITA - Certo Bianca, ci farebbe molto piacere. Il suo racconto ci ha commosso. Un caro saluto